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Ottobre 3, 2018Il Quaderno di ricerca dell’INAIL n. 15 si sofferma sull’esecuzione in sicurezza dei lavori in copertura e sulle idonee misure di prevenzione e protezione. La non uniformità della normativa regionale, le norme UNI e le cause degli infortuni.
La principale causa di infortunio grave o mortale nel settore delle costruzioni è rappresentata da cadute dall’alto relative a lavori in quota. La maggior parte di esse si verificano durante l’attività lavorativa svolta sulle coperture, sia in fase di nuova edificazione sia durante attività di manutenzione.
Negli ultimi anni è emersa una particolare attenzione riguardo alle problematiche di sicurezza dei lavoratori che eseguono la propria attività sulla coperture. Attenzione che, di fatto, ha determinato in molte regioni italiane l’entrata in vigore di regolamenti specifici. Essi definiscono le istruzioni tecniche per i progetti relativi ad attività inerenti le coperture di nuove costruzioni come di edifici esistenti, prevedendo l’applicazione di idonee misure preventive e protettive atte a consentire, nei successivi interventi, impiantistici o di manutenzione, l’accesso, il transito e l’esecuzione dei lavori in quota in condizioni di sicurezza.
In assenza di una legislazione nazionale specifica che imponga di dotare le coperture di tali sistemi di sicurezza, alcune regioni hanno legiferato in tal senso rendendo obbligatorie le disposizioni nei loro territori. È venuta così a crearsi una legislazione non uniforme tra le regioni, che ha quindi determinato inevitabilmente una condizione variegata di disposti normativi.
Uno degli argomenti trattati in maniera difforme è stato quello riguardante l’obbligo di esecuzione dei lavori in copertura, mediante l’utilizzo dei sistemi di ancoraggio permanenti, anche per la sola manutenzione periodica della stessa. Inoltre, ad aumentare la confusione nell’approccio alla problematica, si è aggiunta la norma UNI EN 795:2012, spesso prevista all’interno delle leggi di alcune regioni e quindi di fatto obbligatoria soltanto in quei territori, che aveva definito DPI tutti i sistemi di ancoraggio elencati nella norma stessa: tipo A, tipo B, tipo C, tipo D e tipo E. Un DPI per definizione è “non permanente”.
Tuttavia, almeno per quanto concerne le caratteristiche degli “ancoraggi permanenti e non permanenti”, in Italia si è fatta chiarezza attraverso la Circolare interministeriale del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali del 13/2/2015, n. 3: “Dispositivi di ancoraggio per la protezione contro le cadute dall’alto – Chiarimenti”.
In Europa, la decisione di esecuzione (UE) 2015/2181 della Commissione del 24 novembre 2015 sulla pubblicazione con limitazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea del riferimento alla norma EN 795:2012, ha posto la parola fine all’applicazione controversa e contraddittoria della stessa non permettendo più l’utilizzo di dispositivi di tipo “non permanente” quando essi venivano lasciati sul luogo di lavoro indefinitamente senza essere rimossi.
In un settore così complesso fondamentale è stato il contributo dell’UNI che in poco tempo ha emanato le seguenti norme:
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UNI 11158:2015 – Dispositivi di protezione individuale contro le cadute dall’alto – Sistemi di protezione individuale dalle cadute – Guida per la selezione e l’uso.
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UNI 11578:2015 – Dispositivi di ancoraggio destinati all’installazione permanente – Requisiti e metodi di prova.
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UNI 11560:2014 – Sistemi di ancoraggio permanenti in copertura – Guida per l’individuazione, la configurazione, l’installazione, l’uso e la manutenzione.
Esse hanno fornito strumenti utili a definire le caratteristiche di prodotto degli ancoraggi permanenti di tipo A, C e D, nonché la loro configurazione in copertura.
La norma UNI 11560: 2014 in particolare consente, anche se in via volontaria, in quelle regioni dell’Italia ancora non regolamentate di avere a disposizione uno strumento condiviso e ben si raccorda al quadro legislativo esistente.
Le disposizioni regionali più recenti non prevedono più l’obbligo “generico” dell’installazione dei sistemi di ancoraggio, ma l’adozione di misure a carattere permanente.
Sulle coperture esistenti, nelle quali non sia possibile adottare misure di questo tipo a causa di caratteristiche strutturali non idonee, o per contrasto con prescrizioni regolamentari o con norme di tutela riguardanti l’immobile interessato dall’intervento, esse possono essere di tipo provvisorio (“non permanente”). In tali disposizioni viene altresì ribadito il concetto di priorità delle misure collettive rispetto a quelle individuali, in linea con il d.lgs. 81/08.
Le misure di prevenzione e protezione in dotazione alla copertura sono incorporate nella copertura o a servizio della stessa, per la tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori incaricati di eseguire i lavori successivi sulla copertura. Le misure di prevenzione e protezione ausiliarie sono, invece, le altre misure la cui adozione è richiesta ai datori di lavoro delle imprese esecutrici ed ai lavoratori autonomi incaricati di eseguire i lavori successivi sulla copertura. Le misure “in dotazione” e “ausiliarie” sono dunque finalizzate a:
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l’accesso o lo sbarco in copertura;
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il transito e l’esecuzione dei lavori sulla copertura.
Esse dovranno essere realizzate “prioritariamente” attraverso apprestamenti e/o dispositivi di tipo permanente. Ciò non crea troppe difficoltà in caso di nuove costruzioni mentre è spesso difficile, e a volte impossibile, negli edifici esistenti. In questi casi dovranno essere adottate opere provvisionali, attrezzature e/o dispositivi non permanenti.
Individuare tutte le misure di prevenzione e protezione finalizzate alla sicurezza dei lavoratori che operano in copertura è arduo.
A raccontare in questi termini la situazione normativa è un Quaderno di ricerca dell’INAIL, uno strumento a disposizione dei ricercatori e dei ruoli professionali dell’Istituto per rendere pubblici i risultati più rilevanti delle loro attività.
Nel documento sono analizzate alcune misure di prevenzione e protezione riguardanti l’accesso (piattaforme di lavoro mobili elevabili, ponteggi, scale a pioli anticaduta, scale portatili, trabattelli), altre relative al transito e all’esecuzione (parapetti di sommità, parapetti provvisori, reti di sicurezza, ancoraggi e sistemi di ancoraggio, dispositivi di protezione individuale contro le cadute dall’alto).
Per un’analisi più approfondita dell’argomento è necessario iniziare a individuare le attività oggetto dei lavori. In esse rientrano la costruzione, la demolizione, il rifacimento, la riparazione ma anche quelle la verifica, la manutenzione e la pulizia in genere. Soprattutto queste ultime molto spesso vengono eseguite da personale non specializzato e raramente viene effettuata la necessaria valutazione dei rischi.
Spesso il problema legato alle attività in copertura, non è unicamente associato alla mancata osservanza delle norme base di sicurezza ma anche all’errato utilizzo di opere provvisionali, attrezzature di lavoro, sistemi di protezione contro le cadute dall’alto derivante dalla mancata o insufficiente informazione, formazione e addestramento del lavoratore.
È di fondamentale importanza dunque che lavoratori e datori di lavoro comprendano appieno che la questione non riguarda genericamente gli adempimenti normativi, ma anche e forse soprattutto le procedure, le attrezzature e i dispositivi corretti da utilizzare durante l’attività lavorativa, elementi che tutti insieme concorrono a garantire la sicurezza negli ambienti di lavoro.
Scarica il documento da cui è tratto l’articolo:
Dipartimento innovazioni tecnologiche e sicurezza degli impianti, prodotti e insediamenti antropici dell’Inail, “Esecuzione in sicurezza dei lavori in copertura. Misure di prevenzione e protezione”, a cura di Luca Rossi (Dipartimento innovazioni tecnologiche e sicurezza degli impianti, prodotti e insediamenti antropici dell’Inail), Quaderno di ricerca numero 15, ottobre 2017.